Al principio c’era l’istinto al combattimento.
L’istinto portava ad usare i pugni, a lottare, a mordere e non appena possibile ad usare qualsiasi mezzo o strumento per sopraffare l’avversario. I motivi erano pochi: la sopravvivenza o la conquista. L’affermazione del più forte al fine di preservare la specie ed il proprio DNA.
In una natura ostile e con a disposizione degli strumenti offensivi biologici nulli, l’Uomo si afferma comunque come il dominatore del suo ambiente. Come è stato possibile? Qual è il potere che gli ha consentito di diventare il predatore per eccellenza?
Il segreto è qualcosa che non si vede se non negli effetti che il suo potere esercita sul mondo esterno: la mente dell’Uomo, il suo Intelletto.
Da sopravvivenza in un ambiente ostile con predatori naturali e conquista su piccola scala di tribù vicine si passa alla logica del duello o della guerra. Non più difesa della propria posizione gerarchica all’interno di piccoli gruppi ma sfida a interi popoli. Nascono i primi imperi sull’onda di quell’istinto primordiale che ora si fa scienza precisa e si affina nel crogiolo della creatività. L’uomo continua a distinguersi per la sua capacità di creare strumenti per raggiungere il suo scopo. Nascono le prime armi, rese sempre più letali e funzionali con la scoperta e l’introduzione dei metalli. L’uomo capisce che, a parità di strumento, la vittoria favorisce chi è più preparato. I principi geometrici trovano applicazione all’uso delle armi e vengono sistematizzati interi sistemi di combattimento armato.
Nonostante le armi, nonostante la loro efficacia nel portare a termine lo scopo per cui nascono, l’uomo sente ancora il richiamo dell’istinto. La carne chiama e ossa, mani e occhi cercano ancora lo scontro diretto. Cambia l’obiettivo: non è più sopravvivenza ma dimostrazione del proprio valore. L’uomo sente nel profondo ciò che i romani hanno sintetizzato nel motto “Primus inter pares”: primo fra pari.
Oltre alle armi esterne, l’uomo si accorge di avere degli strumenti offensivi innestati già sul suo corpo. Questi strumenti possono essere usati con le stesse logiche delle armi ma danno un contatto più vivo e eliminano qualsiasi variabile che non dipende direttamente dal confronto uomo contro uomo. Non è una spada con un filo più tagliente dell’altra a decretare il successo, o un’armatura più resistente a permettere di vincere. Resta la necessità di saper usare correttamente gli strumenti ma il corpo è nudo. Le uniche armi sono il coraggio e la mente. Gli strumenti sono le mani, le braccia, le gambe e il talento.
Come sempre ha fatto l’uomo per capire le cose, anche in questo ambito è partito dalla semplificazione. Dal combattimento istintivo totale è passato alle sue componenti più specifiche: il pugilato e la lotta.
Su queste due discipline si sono costruiti campioni simili ad eroi in tutte le civiltà umane. Partendo dall’Egitto o dall’Estremo Oriente e terminando nelle Americhe, era attraverso la forgiatura offerta da queste pratiche che si creavano uomini valorosi.
Occidente.
Grecia: sistemi codificati di pugni e lotta arrivano sulle coste elleniche trasportate dalle onde del Mediterraneo. Come per tutto il resto, anche in questo ambito i greci prendevano la materia grezza e la trasformavano in opera d’arte. Le tecniche di lotta e pugilato dell’Egitto, delle civiltà Minoiche e soprattutto Micenee e dell’Asia Minore si fanno sempre più raffinate ed efficaci. All’ombra dell’Olimpo si forgiano campioni.
È però con le Olimpiadi che queste gare fatte di sangue, sudore, valore e coraggio trovano il loro massimo splendore. I loro atleti equiparati a eroi.
Olimpiadi del 708 A.C: All’inizio si manifesta la lotta in piedi e a terra, cioè l’Orthe palé e la Kato palé.
La lotta è il simbolo per eccellenza della forza e della virilità. Ad essa è associato Eracle come ideale. Ogni atleta sfida sé stesso attraverso l’altro seguendo gli insegnamenti del Mito. Ogni atleta è sia lottatore che sacerdote. Le olimpiadi sono la manifestazione di una spiritualità che parte dalla carne del corpo e arriva alle massime vette dell’anima. Virilità, potenza, onore e sacro si mescolano a proiezioni, leve e strangolamenti. Orthe Palé e Kato Palé hanno subito una gestazione di secoli e si sono affinate passando dall’istinto al combattimento, all’intelletto della sistematizzazione della tecnica e approdano alla metafisica dello scontro. Obiettivo: nell’agonia del gesto atletico estremo si trascende la natura umana e si diventa Eroi.
Poi, il Pugilato (o pigmachia) nelle Olimpiadi del 688 A.C. L’eroe protettore è Teseo. La Leggenda vede in lui il primo inventore di una competizione a base di pugni e resistenza estrema in cui uno vinceva e l’altro moriva. Le qualità nel pugilato: coraggio e valore. Come per tutte le Arti di Marte, sembra che gli spartani fossero eccellenti pugili (usavano il pugilato come mezzo di fortificazione del corpo e il loro addestramento prevedeva incontri volti semplicemente al condizionamento. Smettevano solo quando erano stanchi senza che ci fosse un vincitore o un perdente).
Per i Greci però queste forme non erano sufficienti a dimostrare il valore di un uomo. Per i Greci era necessario ripristinare il concetto di combattimento istintivo e trasformarlo in combattimento integrale. Tutto doveva essere ammesso: l’atleta doveva padroneggiare lotta e pugilato, doveva essere sia Teseo che Ercole. Doveva essere l’eroe assoluto.
Nasce il Pancrazio: la quintessenza del combattimento totale entra a far parte delle Olimpiadi a partire dal 648 A.C. I vincitori di questa gara erano così importanti tanto da dare il nome stesso ai Giochi che si erano appena svolti. La sacralità della loro vittoria all’interno di una manifestazione di questo genere li faceva diventare letteralmente dei in terra. Con loro si giunge alla massima realizzazione della metafisica espressa nel combattimento.
Mentre però i Greci si arroccano nelle loro Poleis, Roma diventa regina del Mediterraneo e dell’Occidente allora conosciuto: le discipline di combattimento greche, arricchite da una spiritualità e da una sacralità che rendeva gli atleti al pari di sacerdoti vengono viste come effemminate e non capite. Quelle stesse arti, che miravano a trovare la bellezza nella violenza si trasformano in spettacolo. Non c’è più da onorare gli dei nelle arene ma solo la folla. E la folla vuole gloria, onore sangue e spettacolo. L’occidente perde l’anima per la fama. Da questo punto della storia in poi, come Icaro che precipita per essersi avvicinato troppo al sole, le arti marziali occidentali tornano ad essere strutturate e studiate attraverso l’Istinto e l’Intelletto. Ma lo spirito e il rapporto diretto con gli dei e il fine più elevato del combattimento scompaiono.
Oriente.
Cina: Come in Occidente anche in Oriente in principio c’è l’istinto. Colpi e lotta in un tutt’uno indifferenziato. Poi, al corpo si uniscono le armi. Gli anni passano, i secoli scorrono. L’esperienza si accumula e nasce l’Arte.
Come in Grecia, il primo e più antico fiore che sboccia è la lotta: attraverso un sistema noto come Jiao Lì, i soldati dell’Imperatore Giallo distruggono i ribelli capeggiati da Chi You e la Cina diventa Nazione.
Il Jiao Lì viene scelto come l’arte per addestrare la guardia imperiale. Rispetto alla Grecia, il fine è militare e non spirituale. C’è istinto ed intelletto, manca la metafisica.
Allo Jiao Lì si uniscono anche i colpi. Siamo nel III Secolo A.C, nasce lo Shou Bo. Ė stato, da un punto di vista tecnico, ciò che il pancrazio era per i greci. Era il combattimento integrale per eccellenza e la sua efficacia è rimasta inalterata per 1500 anni. Il motto dello Shou Bo era “A corpo proietto. A distanza colpisco”. Uno spartano probabilmente avrebbe descritto il pancrazio nel suo modo asciutto e laconico esattamente con gli stessi termini.
Intanto Confucio, nel 509 avanti cristo evidenzia per primo ciò che in Occidente si conosceva e praticava nei Ginnasi. Come in Grecia, dove a Marte veniva affiancata Atena in Cina allo Yang si unisce esplicitamente lo Yin. Il taoismo si appropria dell’eredità marziale e ne fa strumento alchemico di trasformazione interiore. All’istinto e all’intelletto si unisce la metafisica.
Poi un evento storico ben preciso, l’invasione e la conquista della Cina da parte dei Mongoli, determina la messa al bando dello Shou Bo.
Troppo pericoloso avere sudditi in grado di combattere efficacemente e in grado di pensare correttamente.
Sopravvive solo la parte lottatoria. Nasce e si afferma lo Shuai Jiao. Il tempo passa, il potere trova nuove strade e ai Mongoli subentrano genti natie della Cina.
A partire da questo punto, due correnti marziali invadono il paese dell’Imperatore Giallo: una era basata su ciò che era stato sviluppato nello Shuai Jiao, l’ altra prende il repertorio di colpi dell’antico Shou Bo e lo sviluppa ossessivamente. Questa seconda corrente sarà l’antenata del moderno Wu Shu.
Mille stili e mille diversi modi di combattere attecchiscono a partire dalle antiche arti da guerra. Stili del nord, basati su calci e salti acrobatici. Stili del sud, che facevano dei pugni e dei colpi di mano la loro forza. Stili imitativi basati su movimenti animali. Stili che usavano esclusivamente la forza fisica e stili che si concentravano sull’uso dell’energia interna. Stili misti. L’obiettivo era trovare il sistema di percussione perfetto. La Cina si innamora della complicazione, della frammentazione e della sofisticazione. L’arte si avviluppa sempre più in sé stessa. La semplicità e immediatezza dell’antico Shou bo, che sopravvive in parte nello Shuai Jiao, sembra essere primitiva e banale.
Molto spesso i nuovi marzialisti dimenticano l’essenza per preservare la forma. Come l’Occidente perde lo spirito, l’Oriente perde quasi del tutto l’efficacia del corpo in combattimento.
Dove ci porta questo viaggio che copre a volo d’aquila i millenni, diviso tra oriente e occidente?
La nostra opinione è questa: abbiamo complicato (ora con nuovi stili e approcci, ora con nuovi regolamenti sportivi o nuove protezioni) i sistemi di combattimento pensando di aumentarne l’efficacia o la sicurezza.
Occorre invece tornare al concetto di nudità, inteso sia come assenza di protezioni e regole e sia come volontà di assomigliare agli dei, senza nascondere nulla. Se dal combattimento integrale togliamo la lotta, rimane il pugilato. Se dal combattimento integrale togliamo il pugilato, resta la lotta. Così come è da sempre.
Bisognerebbe tornare a concentrarsi sull’interpretazione e sull’uso corretto delle dimensioni di spazio e tempo. Capire che sono loro a determinare in larga parte l’esito dell’incontro, e non una tecnica particolare. Gli strumenti sono secondari. Un colpo, una leva o una proiezione, addirittura un intero sistema di combattimento sono efficaci se e solo se sono portati alla giusta distanza e al momento giusto. L’arte è tutta qui.
Eccessi metafisici basati sull’uso esclusivo di energie interiori o sistemi di combattimento che invece mancano del tutto della parte spirituale perché reputata “poco virile” e si basano su attributi fisici, sono incompleti.
A corpo proietto, a distanza colpisco e soprattutto, cerco di essere un essere umano migliore. Questa è l’essenza. Questa è la nostra filosofia. Questa è Maxia
720p
Awsome site! I am loving it!! Will be back later to read some more. I am taking your feeds also. Neilla Ron Chen