Cosa è la lotta per Maxia? Ancor prima di essere azione e movimento, è prima di tutto l’evoluzione del tatto: è cinestesia cioè sensibilità muscolare.
Per Maxia la lotta non è un insieme di leve, prese proiezioni o strangolamenti. Per Maxia la lotta è un insieme di principi cinestesici. Le tecniche sono solo il risultato dell’applicazione di questi principi in combattimento.
Nell’approccio di Maxia alla lotta ci sono tre fasi per portare a compimento una tecnica: ogni fase è caratterizzata da una diversa combinazione di tempo e spazio che determina una specifica azione.
Le tre fasi sono: la partenza, il percorso, e l’arrivo. La partenza è la posizione iniziale relativa dei due lottatori sul terreno di scontro; il percorso in gergo è quello che viene definito “set up” della tecnica; mentre l’arrivo è l’esecuzione della tecnica in sé.
Tutti e tre gli stadi possono essere compromessi in qualsiasi punto a causa dei tentativi di sabotaggio tra i due lottatori.
Fino a questo punto, le differenze con la lotta moderna non ci sono. La lotta moderna però ha un dettaglio che determina una rottura netta negli approcci e conseguentemente nelle modalità di allenamento: le categorie di peso.
Nella lotta moderna gli atleti si sfidano sulla base di intervalli di peso che creano una base di partenza nel confronto alla pari.
Nell’antichità le cose stavano diversamente. Questo genere di discipline non prevedeva una distinzione in termini di peso, ma solo di età.
I vecchi non si potevano scontrare con i giovani e viceversa.
Ma, all’interno della categoria di età, ci si poteva scontrare con un avversario molto più forte e pesante oltre che significativamente più giovane o più anziano. Per riportare la cosa ai tempi moderni, nell’antichità c’era esclusivamente la logica della categoria “Open” tipica delle competizioni di Brazilian Jiu Jitsu e Grappling.
La grossa differenza è che, andare a terra e impostare una strategia lottatoria interamente al suolo, era considerato disonorevole e inconcludente e quindi tutta l’azione doveva essere condotta in piedi finendo al suolo solo per concludere un attacco come una chiave articolare o uno strangolamento (per intenderci, una strategia basata sulla chiamata di guarda tipica del brazilian jiu jitsu avrebbe portato l’atleta alla squalifica immediata).
Come riuscivano quindi gli atleti classici a gestire situazioni di questo genere con delle evidentissime problematiche a livello di differenze fisiche tra un atleta e l’altro?
Viste le condizioni di partenza si deve ritornare su quali sono le fondamenta del tatto e della cinestesia.
Il nostro percorso conoscitivo ci dice che lo strumento da usare, cioè le mani (a cui viene tolta la facoltà di colpire), possono comunque esprimersi attraverso altre azioni che sono: appoggiarsi, tirare, spingere e prendere ciò che possono.
L’espressione dello strumento avviene nelle tre fasi di spazio possibile che sono la lunga, la media e la corta in tre posizioni di base tipiche della lotta dei greci (riconoscibili in molte icone) che sono Probole, Tegiminus e Sistasis.
Da ultimo le azioni delle mani nelle tre posizioni e quindi distanze avvengono secondo uno specifico tempo: in anticipo, in giusto tempo, in ritardo.
La chiave di volta di questo approccio, del nostro approccio è proprio questo: l’uso tattico e consapevole del tempo e dello spazio attraverso le azioni cinestesiche delle mani e del resto del corpo che compensano le eventuali disparità fisiche tra gli atleti.
In altre parole, spazio e tempo vengono usati come armi e la vittoria non è più una questione solo di attributi fisici ma è anche una questione di chi sa usare meglio il cervello usando tutte queste variabili a proprio vantaggio.