Non atleta ma sacerdote . Non uomo ma dio mortale. Agonista. Pancraziasta.
La loro vita era dedicata ad uno scopo: vincere se stessi attraverso l’altro attraverso l’esperienza estrema del combattimento integrale: il Pankratos.
Il sistema nasce dopo secoli di gestazione dalla sublimazione di pugilato (Pigmachia) e lotta eretta (Orthepale). La mente classica dei greci lo rende letale e al contempo sofisticato e bello. Si preparavano al pugilato letteralmente danzando con le ombre.
Ombre proiettate all’esterno dal gioco dei riflessi del sole sul terreno ma anche e soprattutto ombre interiori. Affrontavano i propri demoni, sia quelli buoni che quelli maligni, e lo facevano danzando leggeri ma con virile coraggio.
Essendo la massima espressione di attività elitarie, il pancrazio è aristocratico per natura (aristoi in greco vuol dire il migliore, l’ottimo, da cui Aristocrazia cioè il governo dei migliori). Nel pancrazio ci si misurava per definire il Primus Inter Pares. E tuttavia non era questo il fine: la Vittoria faceva del Campione un Eroe, non perché aveva sconfitto gli altri, ma perché era stato migliore degli altri. La differenza tra le due cose è sottile come un filo d’erba ma profonda come l’oceano. Bisogna saper Vedere.
Il Pankratos greco veniva inteso come massima espressione dell’Arte in combattimento. Da notare bene: non di un’arte da combattimento o di un’arte marziale, ma dell’ARTE in senso lato applicata ad un contesto di confronto individuale.
Il Pancrazio doveva rispettare i canoni estetici ed etici che seguivano altre manifestazioni artistiche come la pittura o la scultura.
Il pancrazio era danza: era Tersicore, la musa della danza, animata da Ananke, la Necessità.
Come forma d’arte rispondeva al criterio di Kagalogathia: doveva essere bello, doveva essere vero, doveva essere buono o, più correttamente, giusto.
Il pancrazio concede di fare tutto, ma bisogna essere in grado di rispettare i suoi canoni, di applicare il principio di kagalogathia. In ogni azione, in ogni colpo o attacco sferrato ed in ogni difesa applicata.
Nel pancrazio l’obiettivo è superare sé stessi, trascendere sé stessi, non vincere l’altro. L’altro non è un avversario, è uno strumento, uno specchio. Raggiungere il proprio pieno potenziale secondo i propri limiti. Essere grandi, ma senza eccessi. Con equilibrio.
Unico nemico da sconfiggere nel pancrazio: il proprio Ego.
Da qui il concetto di resa: Apagorewein. Uno dei due atleti poteva volontariamente scegliere di arrendersi alla bravura del suo avversario. Con umiltà. Secondo misura.
L’apagorewein era fallire con onore. Bastava alzare il dito indice al cielo. Senza vergogna, ma con rispetto della superiorità dell’altro.
La massima libertà per gli antichi greci era uno tra i valori più importanti. Una scelta consapevole. Uno stile di vita. Lo era anche in combattimento: nel pancrazio era consentito tutto tranne menomazioni permanenti all’avversario, dita negli occhi e morsi.
Non c’erano categorie di peso. Permettere tutto senza limiti significava rendere gli atleti liberi e tutti uguali. Ma non uguali perché artificialmente equiparati. Uguali perché tutti avevano a disposizione gli stessi strumenti: strumenti che permettevano l’annullamento dei vantaggi relativi (un calcio nei testicoli annullava disparità di forza e stazza difficilmente sormontabili con la pura tecnica in un incontro di sola lotta).
E pur tuttavia ognuno si doveva dimostrare degno di questa libertà. Se incapace di gestirla la libertà si tramutava in dolore, sconfitta, annullamento di sé. A volte la libertà portava alla Morte. Bisognava essere all’altezza della libertà.
Lo spirito che animava l’atleta era la volontà di elevarsi al di là della propria condizione umana pur sapendo di essere mortale. La volontà di essere un dio mortale: Eudemonia. Realizzare il proprio demone secondo i propri limiti, l’essenza della pura felicità per un greco. Il combattimento era uno dei mezzi prediletti di autoconoscenza.
Curiosità e voglia di imparare stimolano un gruppo di combattenti e ricercatori a riportare alla luce un tesoro dimenticato. Nel prossimo articolo racconteremo com’è avvenuta la ricostruzione tecnica del Pankratos antico e com’è stata affinata per arrivare all’evoluzione massima del combattimento eretto: Maxia.